Si sono "fatti calpestare", per denunciare il fatto che in Italia anche la ricerca è calpestata. I ricercatori di Bologna hanno messo in scena in piazza Maggiore la singolare protesta, documentata nelle immagini. Hanno tappezzato il Crescentone di Piazza Maggiore con 1.800 fotografie, invitando i passanti a camminarci sopra. Una manifestazione (durante la quale sono state ribadite le ragioni della protesta contro i tagli alla ricerca e all'Università), ma anche una festa. Ai lati della piazza i ricercatori hanno presentato una serie di esperimenti, cercando di spiegare in maniera semplice e divertente alcuni principi della fisica e della chimica, in particolare ai bambini. L'iniziativa è stata organizzata dai ricercatori, borsisti, dottorandi che hanno portato in piazza la ricerca italiana, cercando di spiegare cosa succede al chiuso dei laboratori. Gli organizzatori hanno denunciato la pesante situazione di questo mondo, ulteriormente aggravato dai tagli del decreto Gelmini.
fonte La Repubblica, la foto è presa da qui
e c'era anche la mia foto ... :-)
sabato 29 novembre 2008
giovedì 27 novembre 2008
back again with Radiodervish
...insomma, a parte le due ore di fila solo per il tratto da Jerusalem a Ramallah, una piacevole sorpresa: i Radiodervish sono a Gerusalemme e hanno fatto una scappata a Ramallah al Pronto Café & Restaurant e hanno suonato un po'....
martedì 25 novembre 2008
lunedì 24 novembre 2008
Gaza Christians without Sunday mass
And Israel bans Apostolic Delegate and Latin Patriarchate priests from entering Gaza to pray there
fonte Abouna (full article)
The Israeli authorities banned today (Sunday, November 23rd) morning the Papal Nuncio in Israel Archbishop Antonio Franco from entering Gaza and celebrating mass there, despite previous coordination with relevant parties at the Israeli Ministry of Foreign Affairs and senior Israeli Army command since last Tuesday. Papal Nuncio Archbishop Franco arrived this morning to Erez Crossing at about 8:15 AM, accompanied by Latin Patriarchate priests Fr. Shawqi Baterian and Fr. Humam Khzouz as well with the Nunciature secretary, but was banned to enter to Gaza. Contacts held with senior officials at the Israeli Ministry of Foreign Affairs and Chief Coordinator of Civil Administration`s Office, during which the mentioned delegation stayed for over than three hours at the Crossing, but the Israeli authorities insisted not to allow the delegation enter into Gaza, while allowing several Red Cross and United Nations teams in, as several Palestinians out of Gaza Strip. (...)
fonte Abouna (full article)
.
sabato 22 novembre 2008
Obiettivi nascosti
Questi dettagli rendono l'umiliazione di una vita umana ridotta a un'esistenza quasi animale?
Internazionale 771, 20 novembre 2008
Ci sono due cose che Muna non fa quasi mai: uscire di casa presto e guidare la macchina. L'altro giorno le ha fatte entrambe. "Vado a prendere mia sorella", ha annunciato. Dopo venti minuti sono arrivate portando grandi buste di plastica.
Bucato. Sua sorella vive al terzo piano. Nell'ultima settimana l'erogazione di elettricità nel quartiere è stata molto debole, impedendo le forniture d'acqua ai piani superiori.
Raed, un operaio disoccupato con due bambini piccoli, mi ha detto che in casa mancava l'acqua da quattro giorni. Non ha dovuto aggiungere nulla, potevo immaginare: il gabinetto del bagno otturato, il cumulo di vestiti sporchi, le acrobazie per lavare i bambini. "E da una settimana non abbiamo neanche il gas per cucinare", ha proseguito. In queste condizioni, le interruzioni di corrente elettrica sono il problema minore.
Nel quartiere di Muna, invece, funzionano due linee elettriche: quella che fornisce l'elettricità comprata dall'azienda israeliana e quella che fornisce l'elettricità prodotta dalla centrale di Gaza (un'azienda privata, per un terzo statunitense, un terzo palestinese e un terzo pubblica).
La centrale di Gaza potrebbe produrre elettricità per metà della popolazione della Striscia, ma ora ne rifornisce solo un terzo. Un po' perché Israele limita le consegne di combustibile, un po' per le conseguenze del bombardamento dell'impianto due anni fa.
La centrale è ferma da una settimana perché non arriva una goccia di combustibile. L'azienda elettrica palestinese sta cercando di distribuire i disagi equamente: interrompe l'erogazione a turno nei vari distretti della Striscia. Ma il quartiere di Muna è un'eccezione, grazie alle due linee. Le interruzioni di corrente sono state più brevi e non hanno ancora inciso sulla pressione dell'acqua.
Le sorelle stavano mettendo il primo carico di panni sporchi in lavatrice quando è andata via la corrente. Non se la sono presa e sono andate nell'altra stanza a chiacchierare. L'unica cosa che potevano fare era aspettare: due ore, forse quattro, forse di più.
Aspettare: la stessa cosa che hanno fatto gli operai al lavoro su un enorme depuratore nel nord della Striscia. È l'unico cantiere autorizzato da Israele (perché lo considera un progetto umanitario, mentre i progetti di sviluppo sono vietati da quando Hamas ha vinto le elezioni).
Aspettare i pezzi di ricambio di elettrodomestici e automobili; aspettare elettricità, acqua e gas; aspettare che apra il varco di frontiera per portare fuori le fragole; aspettare che Israele autorizzi una spedizione umanitaria delle Nazioni Unite. Ormai i palestinesi non fanno altro.
Ora sono le sei di mattina del 19 novembre. L'elettricità è appena andata via, mentre facevo una pausa per il caffè. C'è un pensiero che continua ad assillarmi: tutti questi particolari riescono a descrivere l'umiliazione di una vita umana ridotta a un'esistenza quasi animale?
Quando torna la corrente, il notiziario radio israeliano annuncia seccamente: "Oggi i varchi di frontiera con Gaza resteranno chiusi per persone e merci. Il ministro della difesa Ehud Barak ha deciso che, a causa dei continui lanci di razzi, i varchi non saranno aperti. La scorsa notte tre razzi sono caduti in aperta campagna. Non ci sono state vittime". È la politica del castigo: "Ragazzacci, pagherete per il vostro comportamento".
John Ging, il responsabile delle operazioni umanitarie delle Nazioni Unite nella Striscia di Gaza, mi ha detto: "La persone civili agiscono rispettando il diritto internazionale. Un atto illegale non dovrebbe portare a un altro atto illegale. Consentire solo gli aiuti umanitari e non la costruzione di scuole, l'ingresso di materiale didattico per i bambini ciechi, l'esportazione di prodotti agricoli, è illegale, disumano e controproducente".
Ma è davvero controproducente? Se si considera la questione della sicurezza, la risposta è sicuramente sì. Questa umiliante pressione rende la maggior parte degli abitanti di Gaza dipendenti dagli aiuti, trasformandoli in persone che non hanno niente da perdere. E finisce per alimentare la violenza: nuovi razzi, nuove armi fatte passare attraverso i tunnel, nuove reclute per la lotta armata.
Credo di conoscere gli obiettivi nascosti di Israele. I politici israeliani sanno bene cosa stanno facendo: sanno che il ceto medio (di cui fanno parte i più accesi sostenitori della pace con Israele) si sta impoverendo, che l'industria sta morendo, che l'agricoltura sta perdendo colpi.
Sanno, dalle esperienze del passato, che il regime di Hamas può solo essere rafforzato da queste misure. E infatti è così: sempre più palestinesi dipendono dai suoi programmi di assistenza. L'assedio non permette di valutare serenamente i risultati del governo di Hamas.
Tutte le carenze sono attribuite al nemico. Il dibattito pubblico ne risente e i palestinesi di Al Fatah, al potere in Cisgiordania, sono considerati dei collaborazionisti.
Ecco i tre obiettivi d'Israele: tenere separate la Striscia di Gaza e la Cisgiordania; spingere la Striscia verso una tutela egiziana; alimentare la questione della "sicurezza". Israele non cerca altro.
fonte Amira Hass su Internazionale
Internazionale 771, 20 novembre 2008
Ci sono due cose che Muna non fa quasi mai: uscire di casa presto e guidare la macchina. L'altro giorno le ha fatte entrambe. "Vado a prendere mia sorella", ha annunciato. Dopo venti minuti sono arrivate portando grandi buste di plastica.
Bucato. Sua sorella vive al terzo piano. Nell'ultima settimana l'erogazione di elettricità nel quartiere è stata molto debole, impedendo le forniture d'acqua ai piani superiori.
Raed, un operaio disoccupato con due bambini piccoli, mi ha detto che in casa mancava l'acqua da quattro giorni. Non ha dovuto aggiungere nulla, potevo immaginare: il gabinetto del bagno otturato, il cumulo di vestiti sporchi, le acrobazie per lavare i bambini. "E da una settimana non abbiamo neanche il gas per cucinare", ha proseguito. In queste condizioni, le interruzioni di corrente elettrica sono il problema minore.
Nel quartiere di Muna, invece, funzionano due linee elettriche: quella che fornisce l'elettricità comprata dall'azienda israeliana e quella che fornisce l'elettricità prodotta dalla centrale di Gaza (un'azienda privata, per un terzo statunitense, un terzo palestinese e un terzo pubblica).
La centrale di Gaza potrebbe produrre elettricità per metà della popolazione della Striscia, ma ora ne rifornisce solo un terzo. Un po' perché Israele limita le consegne di combustibile, un po' per le conseguenze del bombardamento dell'impianto due anni fa.
La centrale è ferma da una settimana perché non arriva una goccia di combustibile. L'azienda elettrica palestinese sta cercando di distribuire i disagi equamente: interrompe l'erogazione a turno nei vari distretti della Striscia. Ma il quartiere di Muna è un'eccezione, grazie alle due linee. Le interruzioni di corrente sono state più brevi e non hanno ancora inciso sulla pressione dell'acqua.
Le sorelle stavano mettendo il primo carico di panni sporchi in lavatrice quando è andata via la corrente. Non se la sono presa e sono andate nell'altra stanza a chiacchierare. L'unica cosa che potevano fare era aspettare: due ore, forse quattro, forse di più.
Aspettare: la stessa cosa che hanno fatto gli operai al lavoro su un enorme depuratore nel nord della Striscia. È l'unico cantiere autorizzato da Israele (perché lo considera un progetto umanitario, mentre i progetti di sviluppo sono vietati da quando Hamas ha vinto le elezioni).
Aspettare i pezzi di ricambio di elettrodomestici e automobili; aspettare elettricità, acqua e gas; aspettare che apra il varco di frontiera per portare fuori le fragole; aspettare che Israele autorizzi una spedizione umanitaria delle Nazioni Unite. Ormai i palestinesi non fanno altro.
Ora sono le sei di mattina del 19 novembre. L'elettricità è appena andata via, mentre facevo una pausa per il caffè. C'è un pensiero che continua ad assillarmi: tutti questi particolari riescono a descrivere l'umiliazione di una vita umana ridotta a un'esistenza quasi animale?
Quando torna la corrente, il notiziario radio israeliano annuncia seccamente: "Oggi i varchi di frontiera con Gaza resteranno chiusi per persone e merci. Il ministro della difesa Ehud Barak ha deciso che, a causa dei continui lanci di razzi, i varchi non saranno aperti. La scorsa notte tre razzi sono caduti in aperta campagna. Non ci sono state vittime". È la politica del castigo: "Ragazzacci, pagherete per il vostro comportamento".
John Ging, il responsabile delle operazioni umanitarie delle Nazioni Unite nella Striscia di Gaza, mi ha detto: "La persone civili agiscono rispettando il diritto internazionale. Un atto illegale non dovrebbe portare a un altro atto illegale. Consentire solo gli aiuti umanitari e non la costruzione di scuole, l'ingresso di materiale didattico per i bambini ciechi, l'esportazione di prodotti agricoli, è illegale, disumano e controproducente".
Ma è davvero controproducente? Se si considera la questione della sicurezza, la risposta è sicuramente sì. Questa umiliante pressione rende la maggior parte degli abitanti di Gaza dipendenti dagli aiuti, trasformandoli in persone che non hanno niente da perdere. E finisce per alimentare la violenza: nuovi razzi, nuove armi fatte passare attraverso i tunnel, nuove reclute per la lotta armata.
Credo di conoscere gli obiettivi nascosti di Israele. I politici israeliani sanno bene cosa stanno facendo: sanno che il ceto medio (di cui fanno parte i più accesi sostenitori della pace con Israele) si sta impoverendo, che l'industria sta morendo, che l'agricoltura sta perdendo colpi.
Sanno, dalle esperienze del passato, che il regime di Hamas può solo essere rafforzato da queste misure. E infatti è così: sempre più palestinesi dipendono dai suoi programmi di assistenza. L'assedio non permette di valutare serenamente i risultati del governo di Hamas.
Tutte le carenze sono attribuite al nemico. Il dibattito pubblico ne risente e i palestinesi di Al Fatah, al potere in Cisgiordania, sono considerati dei collaborazionisti.
Ecco i tre obiettivi d'Israele: tenere separate la Striscia di Gaza e la Cisgiordania; spingere la Striscia verso una tutela egiziana; alimentare la questione della "sicurezza". Israele non cerca altro.
fonte Amira Hass su Internazionale
mercoledì 12 novembre 2008
cacciati di casa
A GERUSALEMME EST UN’ALTRA FAMIGLIA PALESTINESE CACCIATA DALLA PROPRIA CASA, DEMOLITE CENTINAIA DI ABITAZIONI.
E' stata cacciata nel cuore della notte dalla polizia israeliana la famiglia Al-Kurd dalla sua casa a Sheikh Jarrah, Gerusalemme Est, lo scorso 9 novembre: madre, padre -parzialmente paralizzato e ammalato di cuore- e cinque figli, profughi del 1948 da Gerusalemme ovest, sono rimasti senza l'abitazione di loro proprietà dove vivevano dal 1956. Un gruppo di coloni estremisti rivendicano la proprietà di quella casa e di altre 26 abitazioni dello stesso quartiere in base ad un codice ottomano datato 1880, di dubbia autenticità contestata persino delle autorità statunitensi.
Solo la scorsa settimana con la delegazione del Parlamento Europeo nei Territori Occupati Palestinesi, composta da parlamentari dei diversi gruppi politici e della quale facevo parte, abbiamo visitato la famiglia Al-Kurd e la loro casa: siamo stati testimoni diretti dei soprusi e delle violenze che subiscono quotidianamente da parte dei coloni che vivono ormai nello stesso cortile. Ora sono rimasti senza casa.
Ma a Sheikh Jarrah almeno altre 500 persone affrontano la minaccia quotidiana dell'espulsione dalle loro case in base alle rivendicazioni di associazioni di ebrei estremisti che fanno proprie politiche di "Population Transfer" ovvero di trasferimento della popolazione palestinese.
La vicenda si inserisce nel più ampio quadro di una vera e propria politica da parte delle Autorità israeliane, una politica unilaterale che rischia di uccidere qualsiasi processo di pace giorno dopo giorno, demolizione dopo demolizione, colonia dopo colonia e specialmente a Gerusalemme. Qui, dopo diversi anni di amministrazioni destra e di religiosi ortodossi in cui le colonie illegali israeliane sono cresciute nella parte est della città, ieri è stato eletto a sindaco Nir Barkat che ha fatto della costruzione di nuovi insediamenti ebraici a Gerusalemme Est il tema principale della sua campagna elettorale .
Queste politiche devono immediatamente cessare e essere sanzionate dalla Comunità internazionale.
La confusione derivante dall'attuale passaggio di consegne tra l'amministrazione Bush e la futura e più promettente di Obama non può far passare sotto silenzio simili violazioni in Cisgiordania ma anche a Gaza dove a causa dell'assedio la situazione continua a precipitare: ieri si sono riaperti i valichi dopo sei giorni di chiusura, dopo il black out derivante dal blocco dei rifornimenti del carburante, dopo l'ennesimo allarme lanciato dall'UNRWA che denunciava l'impossibilità di distribuire gli aiuti per i 750.000 palestinesi dei campi profughi proprio in seguito alle chiusure. E si trema alla possibilità che vacilli la tenuta della tregua visto che oggi quattro Palestinesi sono rimasti uccisi dal fuoco degli aerei da guerra israeliani, tornati a volare e sparare sul cielo della Striscia.
Contro la demolizione da parte di bulldozer israeliani di molte case palestinesi a Gerusalemme Est, la presidenza dell'Unione Europea aveva già espresso lo scorso lunedì la sua profonda preoccupazione: è tempo che da Bruxelles si faccia tutto il possibile per impedire che misure arbitrarie e unilaterali da parte del Governo israeliano distruggano ogni chance per un processo di pace oggi più che mai urgente e inevitabile e si usi ogni strumento utile – inclusa la sospensione dell'Accordo di Associazione tra Ue e Israele- per far rispettare la legalità internazionale.
fonte Luisa Morgantini
E' stata cacciata nel cuore della notte dalla polizia israeliana la famiglia Al-Kurd dalla sua casa a Sheikh Jarrah, Gerusalemme Est, lo scorso 9 novembre: madre, padre -parzialmente paralizzato e ammalato di cuore- e cinque figli, profughi del 1948 da Gerusalemme ovest, sono rimasti senza l'abitazione di loro proprietà dove vivevano dal 1956. Un gruppo di coloni estremisti rivendicano la proprietà di quella casa e di altre 26 abitazioni dello stesso quartiere in base ad un codice ottomano datato 1880, di dubbia autenticità contestata persino delle autorità statunitensi.
Solo la scorsa settimana con la delegazione del Parlamento Europeo nei Territori Occupati Palestinesi, composta da parlamentari dei diversi gruppi politici e della quale facevo parte, abbiamo visitato la famiglia Al-Kurd e la loro casa: siamo stati testimoni diretti dei soprusi e delle violenze che subiscono quotidianamente da parte dei coloni che vivono ormai nello stesso cortile. Ora sono rimasti senza casa.
Ma a Sheikh Jarrah almeno altre 500 persone affrontano la minaccia quotidiana dell'espulsione dalle loro case in base alle rivendicazioni di associazioni di ebrei estremisti che fanno proprie politiche di "Population Transfer" ovvero di trasferimento della popolazione palestinese.
La vicenda si inserisce nel più ampio quadro di una vera e propria politica da parte delle Autorità israeliane, una politica unilaterale che rischia di uccidere qualsiasi processo di pace giorno dopo giorno, demolizione dopo demolizione, colonia dopo colonia e specialmente a Gerusalemme. Qui, dopo diversi anni di amministrazioni destra e di religiosi ortodossi in cui le colonie illegali israeliane sono cresciute nella parte est della città, ieri è stato eletto a sindaco Nir Barkat che ha fatto della costruzione di nuovi insediamenti ebraici a Gerusalemme Est il tema principale della sua campagna elettorale .
Queste politiche devono immediatamente cessare e essere sanzionate dalla Comunità internazionale.
La confusione derivante dall'attuale passaggio di consegne tra l'amministrazione Bush e la futura e più promettente di Obama non può far passare sotto silenzio simili violazioni in Cisgiordania ma anche a Gaza dove a causa dell'assedio la situazione continua a precipitare: ieri si sono riaperti i valichi dopo sei giorni di chiusura, dopo il black out derivante dal blocco dei rifornimenti del carburante, dopo l'ennesimo allarme lanciato dall'UNRWA che denunciava l'impossibilità di distribuire gli aiuti per i 750.000 palestinesi dei campi profughi proprio in seguito alle chiusure. E si trema alla possibilità che vacilli la tenuta della tregua visto che oggi quattro Palestinesi sono rimasti uccisi dal fuoco degli aerei da guerra israeliani, tornati a volare e sparare sul cielo della Striscia.
Contro la demolizione da parte di bulldozer israeliani di molte case palestinesi a Gerusalemme Est, la presidenza dell'Unione Europea aveva già espresso lo scorso lunedì la sua profonda preoccupazione: è tempo che da Bruxelles si faccia tutto il possibile per impedire che misure arbitrarie e unilaterali da parte del Governo israeliano distruggano ogni chance per un processo di pace oggi più che mai urgente e inevitabile e si usi ogni strumento utile – inclusa la sospensione dell'Accordo di Associazione tra Ue e Israele- per far rispettare la legalità internazionale.
fonte Luisa Morgantini
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